Monday, February 1, 2010

My Terence Koh Story in Marie Claire Italy

This is in Italian, please refer to my former Terence Koh posting where I published this article in english.

Minuto, elegante, enigmatico: Terence Koh incarna alla perfezione l’artista del XXI secolo. Poeta, pornografo, filmmaker, mixa nuove tecnologie e media tradizionali come scultura e pittura. I suoi lavori sono estremi e molto, molto forti: mette in mostra escrementi laminati in oro ad Art Basel, disegna abiti per una delle boutique più trendy di New York, sul suo sito si può fare shopping con i sex toys che crea e gli piace fare la star (come all’ultima Biennale di Venezia).
Osannato dal mondo della moda, amico delle celeb, ha la fama di essere unfestaiolo incallito (lo chiamano “party boy”). Espone a Parigi, Londra e Roma, possiede un personalissimo spazio espositivo dal nome provocatorio, Ass (non pensate male, è l’acronimo di Asia Song Society), vende le sue opere nelle gallerie più glam e ha già al suo attivo delle personali al Whitney Museum diNew York, alla Tate Gallery di Londra e in diversi musei in Germania,Svizzera Spagna.
Ci incontriamo in fondo a Chinatown, in un vecchio edificio di mattoni che gli serve sia da abitazione sia da luogo di lavoro. Quando arrivo, non c’è. Ma la sua presenza è anticipata da un mazzo di fiori appassiti disposti artisticamente, graffiti neri alle pareti e un campanello antiquato. Uno spazio tutto bianco, dalle scale fino all’ufficio, al soggiorno e all’atelier. Nel décor abbondano i temi che gli sono più cari: i conigli - o «coniglietti», come preferisce dire - teschi e sculture composte e ricomposte.
È nato a Pechino, cresciuto a Vancouver eppure, quando arriva, Terence Koh sembra la quintessenza del newyorkese doc. E forse lo è. «Vivo nel Lower East Side da quindici anni. E sono un abitante di Downtown fino al midollo. Qualsiasi cosa al di sopra di Houston Street è un altro pianeta. Un’altra patria d’elezione?Parigi, dove c’è la Galérie Thaddeus Ropac che da sempre ha creduto in me. Come la Peres Projects di Los Angeles.
Come vede il mondo? 

Diceva John Lennon: «C’è tanto dolore che le droghe sono un cancello d’ingresso in uno stato normalizzato». Ecco, io credo che nel mondo d’oggi ci siano tante persone infelici con o senza l’utilizzo di additivi chimici.
Lei si sente infelice?

No (sorride gesticolando elegantemente, ndr), non sono infelice perché cerco di rendere il mondo più bello.
E come pensa di riuscirci? Con la sua arte?

No, parlando molto con me stesso. Il segreto sta tutto nel cervello.
Questo edificio è suo?

Mi piacerebbe comprarlo, ma sono a corto di contanti. Vivo qui da due anni e mezzo ma il successo, quello vero, è arrivato non più di sei anni fa. Per raggiungere i miei obiettivi devo imparare a risparmiare.
Ha una relazione sentimentale?

Ma certo! Il mio compagno si chiama Garrick (i due si sono recentemente sposati indossando il velo bianco negli Hamptons, ndr).
Come si vive a New York? 
Si è completamente indipendenti. Questo da un lato ti dà un senso di libertà, dall’altro ti fa correre il rischio di vivere in una solitudine straziante. Vivo qui da molto, ma i primi due anni li ho passati da solo. Una vera sofferenza.
Lei è canadese... 
Sì, vengo da Vancouver, ma sono nato a Pechino e mi hanno abbandonato quando avevo soltanto tre anni.
Secondo lei le sue opere potrebbero essere esposte in Cina? 
Penso di sì. C’è stato dell’inutile sensazionalismo per molti miei lavori pornografici. Ma in realtà non c’è nulla di scandaloso.
So che partecipa anche a reading di poesia... La scorsa primavera avrei dovuto partecipare a un happening dal titolo Pax Americana. Ma, come fece Andy Warhol, ho mandato un mio sosia: un ragazzino con una parrucca che mi ha sostituito.



Quanto sono importanti per lei i versi?


Scrivo continuamente. Sul mio sito c’è una nuova poesia ogni giorno. È il modo migliore per rendere più belle le cose. Può essere una semplice frase o un racconto. Io, ad esempio, amo gli haiku di Basho e Tu Fu e I fiori del male di Baudelaire. Conservo questo libro sul comodino e ne leggo qualche pagina appena sveglio.
È mai stato in Italia? Sono stato a Venezia per la Biennale: al padiglione nordico ho presentato due sculture del David di Michelangelo, una di fronte all’altra. Era la prima volta che venivo in Laguna e l’ho amata moltissimo, soprattutto la notte quando è senza turisti. Ho poi esposto all’Ara Pacis di Roma, dove secoli fa venivano compiuti sacrifici agli dei. E infine, sono stato anche a Torino. Ma vuole sapere una cosa buffa? I miei contatti più intensi con l’Italia li ho quando vado a Long Island, a Bridge Hampton. Li vive la mia amica Jacquelyn Schnabel che ora sta con un italiano che cucina una meravigliosa pasta aglio e olio.
Lei era molto amico di Dash Snow, discendente dei famosi collezionisti de Menil, scomparso lo scorso agosto... 
La morte di Dash è stata una tragedia. Ero a Manchester, in Inghilterra. La notizia è arrivata nel bel mezzo di una performance di quattro ore che stavo tenendo insieme a Marina Abramovic. Mi sono messo a gridare anche se ero imbarazzatissimo. Marina poi mi ha consolato dicendomi che urlare è la cosa migliore da fare quando ci si sente molto vulnerabili.
Perché si veste sempre di bianco?
Perché mi piace l’impatto del candore negli occhi della gente che mi guarda.
Ha disegnato la t-shirt ricamata di perle che indossa: quali legami fra arte e moda?
Amo la moda così come amo cinema e poesia. Ma credo che il messaggio che trasmette l’abbigliamento sia più immediato dell’arte e quindi più semplice da comprendere.
Come ha realizzato questa t-shirt?
È stato complicato. Il mio assistente ha frantumato delle perle in un macinino da caffè e le ha incollate al tessuto. Il risultato? Una maglietta che costa 500 dollari perché ogni singolo esemplare è diverso dal’altro.
Lavora anche con altri media?
Sì, a Berlino ho realizzato un film di sei ore intitolato Dio. L’ho mostrato a Miami e a Basilea. C’erano diverse scene in cui saltavo intorno ai cimiteri, mangiavo insalata e facevo sesso con due persone diverse. Proprio Dash aveva curato parte della fotografia. Ma compongo anche musica, cercando di non farmi influenzare da quello che ascolto.
Considera le sue opere omoerotiche?
Ognuno ha diritto ad avere la sua opinione. Più che omoerotico io vorrei essere universale.
Diventerà mai cittadino americano?
Sono molto indeciso. Per il momento mi tengo il passaporto canadese.
È felice per l’operato di Obama?
Sì. «Ah, se i re potessero essere filosofi...». Non ricordo più chi l’ha detto, ma Barack Obama è per me proprio come un filosofo.
Ha speranze per un futuro migliore?

Sì. E sa cosa le dico? Penso che dovremmo averne tutti.

http://www.marieclaire.it/magazine/fan-club/terence-koh

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